Scienza per l'uomo
2006-11-28 22:54:44 UTC
bellissima intervista sull'eutanasia
Intervista a Maria Luisa Di Pietro, Co-presidente di Scienza & Vita
Dall'inizio alla fine. Il cerchio della vita si chiude, ma non smette di
girare. A circa un anno e mezzo dal referendum sulla fecondazione assistita,
infatti, Scienza & Vita torna a organizzare una campagna su larga scala.
Stavolta non si tratta però di difendere il "nucleo germinale" della vita
umana, bensì gli ultimi istanti. A partire dalla richiesta di eutanasia di
Piergiorgio Welby, alcune forze politiche e sociali, primi fra tutti i
radicali, vorrebbero ottenere il riconoscimento del diritto alla "dolce
morte".
Per contrastare questa pericolosa deriva, le oltre cinquanta associazioni
che compongono il tessuto associativo di Scienza & Vita a livello locale
organizzano da martedì 28 novembre una settimana di riflessione dal titolo
"Né accanimento, né eutanasia". Il titolo, uguale per tutti dalla Valle d'Aosta
alla Sicilia, contraddistingue una serie di manifestazioni pubbliche. L'apertura
ufficiale è prevista a Firenze, mentre il convegno conclusivo si terrà a
Roma il 5 dicembre (vedi box in pagina). "Abbiamo voluto impostare una
campagna che aiuti a riflettere su tematiche complesse e di grande
importanza per il futuro del Paese. Non è più tempo solo di emozionarsi o di
assistere inermi all'incrociarsi caotico di pareri sensazionalistici. Non
vogliamo né urlare né utilizzare chi sta male per sostenere le nostre idee,
ma piuttosto ci rivolgiamo a quanti - e sono molti - vogliono farsi un'opinione
corretta sul tema", spiega la presidente di Scienza & Vita, Maria Luisa Di
Pietro, che dirige l'Associazione con il noto genetista Bruno Dallapiccola.
Cos'altro vi proponete?
Di riportare il dibattito pubblico su un piano diverso da quello attuale,
sempre più impostato secondo un copione sempre uguale. Così è stato per l'aborto
e per la fecondazione artificiale. Prima vengono i casi pietosi, poi l'allarme
sulle pratiche clandestine, la difesa dell'autodeterminazione a tutti i
costi, il turismo eutanasico per quanti possono permetterselo, la necessità
che il nostro Paese si adegui ad altre realtà dell'Europa e del mondo per
non essere tagliato fuori dalla "modernità" e dalla "civiltà". Senza mai
mettere in evidenza che se esiste una pratica clandestina illecita, questa
non va avvallata ma piuttosto condannata; senza interrogarsi sui veri
bisogni del malato e della sua famiglia; senza pensare a sufficienza al
fatto che la richiesta di eutanasia scaturisce prima dal cuore della società
e, poi, arriva sulla bocca del malato. Il dibattito attuale è forzato e
manipolato anche per l'uso che si fa dei termini. Basti pensare al fatto che
si fa passare per eutanasia solo un atto uccisivo attivo e non anche la
sospensione delle cure, dell'alimentazione e dell'idratazione.
L'eutanasia viene presentata come diritto a scegliere da parte del soggetto
che, non vedendo alternative e non potendo togliersi la vita da sé, chiede
ad altri di porre fine a sofferenze da lui ritenute insopportabili.
Sì, l'eutanasia viene presentata come la via da perseguire - in nome di un
presunto diritto alla morte - per porre fine ad una sofferenza non più
tollerabile. Nella realtà essa si traduce nell'uccisione del malato e nell'anticipazione
della sua morte. In nome di un diritto si chiede, quindi, di annullare la
ragione d'essere di questo diritto: la vita. Il termine "diritto" può
essere, però, utilizzato solo nei confronti di un bene: la vita umana è un
bene, la morte è solo un avvenimento. E della vita umana non si può disporre
già solo per il fatto che è il presupposto per poter disporre di noi stessi.
Se di diritti si vuole parlare, ricordiamo che il vero diritto di ogni
malato è quello di avere una morte degna in cui non vi è spazio né per l'abbandono
né per la ghettizzazione, ma solo per il sostegno da parte di un ambiente
accogliente e solidale.
A cosa si riferisce?
A tutto quello che manca o è ancora insufficiente in Italia: efficaci reti
di assistenza domiciliare, interventi a sostegno delle famiglie dei malati,
carenza di hospice e di strutture per la lungodegenza, impossibilità di
accedere con facilità alle cure palliative, mancanza di personale sanitario
adeguato, maggiore valorizzazione del volontariato sociale e familiare. C'è
un clima culturale troppo incline a rimuovere la sofferenza e la morte,
dimenticando che queste esperienze sono parte integrante della vita di
ciascuno. Chi si batte contro l'eutanasia viene accusato di voler imporre
agli altri di soffrire. Questo non è assolutamente vero. La sofferenza, la
mancanza di senso, la disperazione, non si combattono eliminando il
sofferente, ma cercando di sollevarlo dal dolore fisico e di sostenerlo dal
punto di vista psicologico e spirituale. E' per questa ragione che tra le
nostre richieste vi è quella di implementare la conoscenza e l'accesso alle
cure palliative, che sono un atto dovuto a quanti ne hanno bisogno proprio
nell'ottica dell'umanizzazione della morte. Una dimensione, quella
dell'umanizzazione della morte, che rischia di essere persa se si riduce
tutta la gestione della malattia, soprattutto in assenza di capacità di
intendere e di volere, a mettere in atto quanto scritto in un arido pezzo di
carta dove sono raccolte volontà che il malato ha espresso in condizioni e
in circostanze ben diverse da quelle in cui si trova.
Lei introduce il tema dei cosiddetti "testamenti biologici", sui quali sono
depositati diversi disegni di legge in Parlamento. Quali problemi
risolverebbe una chiara presa di posizione dell'interessato riguardo al modo
in cui essere curato nei casi in cui non possa più esprimere le proprie
volontà?
Si tratta di una questione molto complessa sulla quale è necessaria una
attenta riflessione. Non mettiamo in discussione il coinvolgimento del
malato nella gestione della propria malattia, quanto piuttosto cosa può
essere oggetto di richiesta di volontà anticipate e quale è il modo ottimale
per raccoglierle. Dall'analisi dei disegni di legge si evince che oggetto
delle volontà anticipate sono l'accanimento terapeutico, le cure palliative,
l'assistenza a domicilio o in ospedale, la donazione di organi ai fini del
trapianto, l'assistenza religiosa. Tenendo conto che la sospensione
dell'accanimento terapeutico e l'attivazione delle cure palliative sono atti
dovuti, che per la donazione degli organi esiste già un'altra legge e che la
scelta del luogo ove morire o del ricorso all'assistenza religiosa può
essere comunicata alla famiglia o essere contenuta in un testamento
spirituale, si arriva alla conclusione che una legge sul testamento
biologico o sulle dichiarazioni anticipate è inutile. Se a questo si
aggiungono le difficoltà legate all'intepretazione di volontà espresse "ora
per allora", alla presenza della figura del fiduciario, alla vincolatività
per il medico e all'obbligatorietà per cittadino di rilasciarle, ci si rende
conto che lo stesso diritto di scelta in nome del quale vengono proposte non
è assolutamente tutelato.
Ma, allora, è meglio non legiferare sui "testamenti biologici"?
Riteniamo che sia alquanto imprudente ridurre l'acquisizione di volontà
anticipate a un mero strumento burocratico e pensare di risolvere per legge
una materia tanto complessa. E' necessario, invece, che tali decisioni
maturino all'interno del rapporto del medico con il malato e con la sua
famiglia. Solo in tal modo sarà possibile decidere in scienza e coscienza
nei singoli casi, per loro natura irriducibili a semplificazioni e schemi di
comportamento. Senza un tale approccio vi è solo il rischio che il
testamento di vita o le dichiarazione anticipate divengano di fatto un modo
subdolo per legittimare pratiche eutanasiche e superare le resistenze dell'opinione
pubblica alla diretta uccisione dei malati.
www.scienzaevita.org
www.scienzaevitapiemonte.org
Intervista a Maria Luisa Di Pietro, Co-presidente di Scienza & Vita
Dall'inizio alla fine. Il cerchio della vita si chiude, ma non smette di
girare. A circa un anno e mezzo dal referendum sulla fecondazione assistita,
infatti, Scienza & Vita torna a organizzare una campagna su larga scala.
Stavolta non si tratta però di difendere il "nucleo germinale" della vita
umana, bensì gli ultimi istanti. A partire dalla richiesta di eutanasia di
Piergiorgio Welby, alcune forze politiche e sociali, primi fra tutti i
radicali, vorrebbero ottenere il riconoscimento del diritto alla "dolce
morte".
Per contrastare questa pericolosa deriva, le oltre cinquanta associazioni
che compongono il tessuto associativo di Scienza & Vita a livello locale
organizzano da martedì 28 novembre una settimana di riflessione dal titolo
"Né accanimento, né eutanasia". Il titolo, uguale per tutti dalla Valle d'Aosta
alla Sicilia, contraddistingue una serie di manifestazioni pubbliche. L'apertura
ufficiale è prevista a Firenze, mentre il convegno conclusivo si terrà a
Roma il 5 dicembre (vedi box in pagina). "Abbiamo voluto impostare una
campagna che aiuti a riflettere su tematiche complesse e di grande
importanza per il futuro del Paese. Non è più tempo solo di emozionarsi o di
assistere inermi all'incrociarsi caotico di pareri sensazionalistici. Non
vogliamo né urlare né utilizzare chi sta male per sostenere le nostre idee,
ma piuttosto ci rivolgiamo a quanti - e sono molti - vogliono farsi un'opinione
corretta sul tema", spiega la presidente di Scienza & Vita, Maria Luisa Di
Pietro, che dirige l'Associazione con il noto genetista Bruno Dallapiccola.
Cos'altro vi proponete?
Di riportare il dibattito pubblico su un piano diverso da quello attuale,
sempre più impostato secondo un copione sempre uguale. Così è stato per l'aborto
e per la fecondazione artificiale. Prima vengono i casi pietosi, poi l'allarme
sulle pratiche clandestine, la difesa dell'autodeterminazione a tutti i
costi, il turismo eutanasico per quanti possono permetterselo, la necessità
che il nostro Paese si adegui ad altre realtà dell'Europa e del mondo per
non essere tagliato fuori dalla "modernità" e dalla "civiltà". Senza mai
mettere in evidenza che se esiste una pratica clandestina illecita, questa
non va avvallata ma piuttosto condannata; senza interrogarsi sui veri
bisogni del malato e della sua famiglia; senza pensare a sufficienza al
fatto che la richiesta di eutanasia scaturisce prima dal cuore della società
e, poi, arriva sulla bocca del malato. Il dibattito attuale è forzato e
manipolato anche per l'uso che si fa dei termini. Basti pensare al fatto che
si fa passare per eutanasia solo un atto uccisivo attivo e non anche la
sospensione delle cure, dell'alimentazione e dell'idratazione.
L'eutanasia viene presentata come diritto a scegliere da parte del soggetto
che, non vedendo alternative e non potendo togliersi la vita da sé, chiede
ad altri di porre fine a sofferenze da lui ritenute insopportabili.
Sì, l'eutanasia viene presentata come la via da perseguire - in nome di un
presunto diritto alla morte - per porre fine ad una sofferenza non più
tollerabile. Nella realtà essa si traduce nell'uccisione del malato e nell'anticipazione
della sua morte. In nome di un diritto si chiede, quindi, di annullare la
ragione d'essere di questo diritto: la vita. Il termine "diritto" può
essere, però, utilizzato solo nei confronti di un bene: la vita umana è un
bene, la morte è solo un avvenimento. E della vita umana non si può disporre
già solo per il fatto che è il presupposto per poter disporre di noi stessi.
Se di diritti si vuole parlare, ricordiamo che il vero diritto di ogni
malato è quello di avere una morte degna in cui non vi è spazio né per l'abbandono
né per la ghettizzazione, ma solo per il sostegno da parte di un ambiente
accogliente e solidale.
A cosa si riferisce?
A tutto quello che manca o è ancora insufficiente in Italia: efficaci reti
di assistenza domiciliare, interventi a sostegno delle famiglie dei malati,
carenza di hospice e di strutture per la lungodegenza, impossibilità di
accedere con facilità alle cure palliative, mancanza di personale sanitario
adeguato, maggiore valorizzazione del volontariato sociale e familiare. C'è
un clima culturale troppo incline a rimuovere la sofferenza e la morte,
dimenticando che queste esperienze sono parte integrante della vita di
ciascuno. Chi si batte contro l'eutanasia viene accusato di voler imporre
agli altri di soffrire. Questo non è assolutamente vero. La sofferenza, la
mancanza di senso, la disperazione, non si combattono eliminando il
sofferente, ma cercando di sollevarlo dal dolore fisico e di sostenerlo dal
punto di vista psicologico e spirituale. E' per questa ragione che tra le
nostre richieste vi è quella di implementare la conoscenza e l'accesso alle
cure palliative, che sono un atto dovuto a quanti ne hanno bisogno proprio
nell'ottica dell'umanizzazione della morte. Una dimensione, quella
dell'umanizzazione della morte, che rischia di essere persa se si riduce
tutta la gestione della malattia, soprattutto in assenza di capacità di
intendere e di volere, a mettere in atto quanto scritto in un arido pezzo di
carta dove sono raccolte volontà che il malato ha espresso in condizioni e
in circostanze ben diverse da quelle in cui si trova.
Lei introduce il tema dei cosiddetti "testamenti biologici", sui quali sono
depositati diversi disegni di legge in Parlamento. Quali problemi
risolverebbe una chiara presa di posizione dell'interessato riguardo al modo
in cui essere curato nei casi in cui non possa più esprimere le proprie
volontà?
Si tratta di una questione molto complessa sulla quale è necessaria una
attenta riflessione. Non mettiamo in discussione il coinvolgimento del
malato nella gestione della propria malattia, quanto piuttosto cosa può
essere oggetto di richiesta di volontà anticipate e quale è il modo ottimale
per raccoglierle. Dall'analisi dei disegni di legge si evince che oggetto
delle volontà anticipate sono l'accanimento terapeutico, le cure palliative,
l'assistenza a domicilio o in ospedale, la donazione di organi ai fini del
trapianto, l'assistenza religiosa. Tenendo conto che la sospensione
dell'accanimento terapeutico e l'attivazione delle cure palliative sono atti
dovuti, che per la donazione degli organi esiste già un'altra legge e che la
scelta del luogo ove morire o del ricorso all'assistenza religiosa può
essere comunicata alla famiglia o essere contenuta in un testamento
spirituale, si arriva alla conclusione che una legge sul testamento
biologico o sulle dichiarazioni anticipate è inutile. Se a questo si
aggiungono le difficoltà legate all'intepretazione di volontà espresse "ora
per allora", alla presenza della figura del fiduciario, alla vincolatività
per il medico e all'obbligatorietà per cittadino di rilasciarle, ci si rende
conto che lo stesso diritto di scelta in nome del quale vengono proposte non
è assolutamente tutelato.
Ma, allora, è meglio non legiferare sui "testamenti biologici"?
Riteniamo che sia alquanto imprudente ridurre l'acquisizione di volontà
anticipate a un mero strumento burocratico e pensare di risolvere per legge
una materia tanto complessa. E' necessario, invece, che tali decisioni
maturino all'interno del rapporto del medico con il malato e con la sua
famiglia. Solo in tal modo sarà possibile decidere in scienza e coscienza
nei singoli casi, per loro natura irriducibili a semplificazioni e schemi di
comportamento. Senza un tale approccio vi è solo il rischio che il
testamento di vita o le dichiarazione anticipate divengano di fatto un modo
subdolo per legittimare pratiche eutanasiche e superare le resistenze dell'opinione
pubblica alla diretta uccisione dei malati.
www.scienzaevita.org
www.scienzaevitapiemonte.org